Sabbia

Torno a casa che sembro reduce da una rissa. Zoppico e sono pieno di lividi.

Comincio da questa sera a trattare il mio polpaccio destro con gli unguenti magici.

Abbiamo ricominciato gli allenamenti tutti quelli non in forma si sono astenuti dal centro del gioco.

Tutti tranne uno, il più cretino di tutti: io.

Faccio in tempo a rimettermi in sesto e non zoppicare più così vistosamente almeno per la domenica al mare.

Da oggi smontano la spiaggia attrezzata dove siamo andati tutta l’estate.

Ieri è stata l’ultima nuotata, l’11 Settembre. Questo è il mio sansilvestro.

Forse l’estate non è finita, speriamo, ma credo che non faremo altri bagni. Che palle ma perché dura sempre così poco?

Che gioia vedere i due cuccioli coi braccioli mentre ti inseguono verso le acque alte.

Non solo, domani inizia anche la scuola, insomma siamo di nuovo sotto la macina. Crepasse una volta per tutte.

L’ultimo chicco d’uva

L’ho già messo in bocca quando penso che questo è l’ultimo chicco d’uva del mio pergolato che mangerò nel 2016.

E` piccolo e dolce.

Così un’altra vacanza se ne va, ritorno a quel che odio più di tutto, cioè la routine: la ripetitività forzata, gli orari fissi, questa città col suo clima insopportabile, l’umido estivo e l’inverno sempre troppo lungo, noioso e triste.

Questo acino non è soltanto dolce è effimero come la gioia del suo sapore. Viene da una strada polverosa e dalla timida fatica di un parente che cura queste nostre piante.

Ho tagliato qualche grappolo perché stava maturando troppo, la presentabilità dell’uva ne ha risentito, ma, insomma, a noi va bene così.

Sto pulendo il garage, il penultimo giorno, quando, col magone, mio figlio guardandomi lavorare mi dice che vuole vivere qui.

Credo che anche lui si sia reso conto che non stia semplicemente parlando delle vacanze.

Le è andata peggio

Fosse per me non ammazzerei nessun essere vivente.

Bè, uno sì, proprio non lo sopporto, è la zanzara.

Abbiamo deciso di fare un salto al caseificio al ritorno dalla spiaggia.

Ci prendiamo la solita mezz’ora di anticipo per dare tempo ai pargoli di inscenare l’usuale tira e molla e si riesce a partire.

Ci sono circa 15 km da fare.

Sono quasi arrivato che sento un dolore lancinante alla schiena.

Una fitta.

Poi sento la fitta ripetersi, riconosco il dolore, capisco cosa sta succedendo.

Sono punto a ripetizione, qualcosa si è infilato sotto la maglietta.

Penso subito a un ragno, ma ora il dolore è talmente forte che reagisco di istinto infilo una mano sotto la maglietta e stringo sento un insetto che muore.

Capisco allora tutto.

L’avevo anche visto in spiaggia.

Appena posso mi accosto, c’è una pompa di benzina qui vicino, sollevo la maglietta.

Il cadavere casca, è lì. Una vespa. Poverina chissà come avrà fatto ad infilarsi nella mia maglietta. Che strano che solo dopo quei km mi sia messo in una posizione di minaccia per lei.

Decido che quel distributore di benzina per me d’ora in poi sarà il posto della vespa.

Ecco come si presenta la mia schiena:

PuntureVespa

Non riesco a guidare bene, mi dà parecchio fastidio fare qualsiasi cosa, figurarsi scegliere con calma il formaggio.

Ma alla povera vespa è andata peggio.

Era il 31 Ottobre

Caro diario,

sono passate poco più di tre settimane da quel momento e ad oggi cerco di trovare il tempo di scriverne.

Mi ero promesso di farlo mentre vivevo quegli attimi ed avevo ancora una sorta di ispirazione vivida in me.

Adesso invece mi sembra di averne un sentore annacquato, ma una promessa è una promessa e la voglio mantenere.

Ecco il mio racconto.

Mi sveglio, sono tranquillo nonostante i parenti, non sarà una giornata difficile.

Ieri l’anestesista, un giovane dottore vestito in jeans, quando è venuto a prendere le mie firme sul consenso mi ha anticipato che avrei dovuto attendere la tarda mattinata, ma chissà che cosa vorrà dire: le dieci, le undici o mezzogiorno?

Niente di tutto questo.

Sono già passate le due quando mi portano in sala operatoria.

La flebo non sul braccio sinistro per favore, intuisco che per loro sia sicuramente più comodo lì ma mi fa ancora male per i postumi di un incidente di gioco, me la faccio mettere a quello di destra.

Le infermiere qui sono diverse, sono più giovani ed entusiaste sembrano anche più interessate al loro lavoro, una di loro ha più tatuaggi di un Maori e mi chiede della Sardegna, l’ha capito dal cognome, ha un cugino che si chiama come me e che ha la mia stessa età. Poi da lì si parla di bambini e intanto l’anestesia fa effetto e mi portano dentro, in sala operatoria.

Non lo sapevo ma Merylyn era appena là fuori e chiedeva di me, le domandavano se era lei la madre di due bimbi di 3 e 5 anni.

Ecco qua, l’attesa è finita.

Mi coprono l’occhio sinistro e io decido di guardare col destro, quello malato.

Vedo tutto annebbiato tre palle luminose che probabilmente sono il microscopio o qualcosa del genere.

Sento che mi tagliano la cornea vecchia e ci ironizzo sopra, ha visto che bella piramide?

Il professore mi risponde notevole, notevole.

Intanto seguo tutto è una sensazione davvero rilassante gli strumenti sembrano accarezzarmi mi sta venendo sonno, mi trovo a mio agio…

Vedo i fili con cui mi cuciono ma è sempre tutto molto offuscato come se avessi bevuto litri di vino nero.

Come va laggiù? Mi chiede il professore.

Bene mi sto quasi addormentando.

Se vuole si assopisca pure.

L’intervento dura un’ora.

Mi portano quindi in reparto, Merylyn non c’è è andata a prendere i bambini.

C’è la mia sorella minore che mi aspetta accanto al letto.

Adesso, lo so, comincerà la parte difficile ma sono in pista e pedalo.

6 agosto 2013

Caro diario

oggi ho portato la mia famiglia a Muravera.

Da Gonnesa è stato un bel viaggio.

Anche se hanno fatto la strada nuova.

Il fascino dei sette fratelli si perde un pochino, sono là che guardano, ma forse ne guadagnano in mistero.

Che terra affascinante il Sarrabus. È meravigliosa sembra ancora incontaminata anche dove non lo è… Sembra distante anche quando sei lì, ti accende addosso una gran voglia di non andare via, di restare e scoprirla.

Ho una storia nel sangue, che data tra gli anni 30 e i 60 del secolo scorso.

Momenti di vita lontana, a metà strada tra il romanzo e la nuda realtà.

La storia del mio cognome, che viene proprio di là.

Di un legame reciso molto prima che io nascessi, che però porta ancora una piccola testimonianza racchiusa in una piccola lapide, posta su una tomba di una piccola bambina morta tanti tanti anni fa.

La storia di un padre che la piange dal ventre della terra in una miniera, la storia di una madre che ho cercato di portare fino a quel simulacro una decina di anni fa, lungo un viaggio per la strada vecchia, il giorno di Pasqua, era il 2000. Quel giorno sì che ci addentrammo nel ventre dei sette fratelli.

Volevo esaudire il desiderio di un amore materno mai sopito, ma era un festivo e il cimitero era chiuso.

Nonna oggi ero là ma dalla bambina non ci sono passato, non mi piacciono le tombe. Ci tornerò, anche se non ci credo, e se la troverò mi sentirò di aver chiuso un piccolo cerchio.